Il ventilatore gonadico

Io ci provo. Ci provo continuamente a non incazzarmi. Lavoro, mi stanco, dormo, mi riposo, per un po’ ho anche fatto attività fisica, la cyclette per la precisione, scrivo, canto, ho mille, migliaia, milioni di modi per scaricare lo stress. Eppure, alla fine di una “tutto sommato” buona giornata, arrivo comunque a farmi girare i coglioni. Ci butto il sudore, le serate, i pomeriggi per far andare bene le cose, arrivo sempre puntuale e non me ne vado mai prima di aver finito ciò che ho cominciato. È vero, ho mollato il mio compito a marzo per andare a Milano, per seguire il master che ho pagato per specializzarmi e continuare a essere al meglio per il posto che stavo ricoprendo, quindi sempre finalizzando tutto al mio ruolo. Ci sono stata di domenica, ci sono stata fino alla notte, ci sono stata per pulire, per sistemare, per traslocare, per pubblicizzare, per diffondere, per supportare, per sostenere le attività e le persone, cazzo, ci sono SEMPRE. Voglio essere professionale, voglio rispetto per il mio lavoro, voglio riconoscenza. Esigo serietà, professionalità, tale e quale a quella che io fornisco ad ogni attività alla quale prendo parte, dal montaggio/smontaggio di cavi e sistemi elettrici al rapporto con l’esterno, la correttezza grammaticale, sintattica, procedurale, burocratica. Rispetto l’autorità, rispetto i limiti che mi impone. Però poi basta che inizi a cercare di farmi riconoscere da qualcuno tutto questo, che arrivano le pugnalate. Prima per le stronzate, poi man mano si va sempre più a fondo, fino a quando arriverà il giorno in cui mi faranno fuori e non ne avrò neanche comunicazione. Sono incazzata, nell’era della comunicazione non si riesce ad affrontare le questioni a viso aperto, si ignorano i messaggi, le chiamate, le richieste, le mail. Rimpiango Milano e la sua praticità, la sua organizzazione, la sua competenza, la sua TRASPARENZA.

Perché conosci le persone da dieci anni, ma ti riescono sempre a sorprendere, e mai in bene.

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