Citazioni che hanno rotto

Fai un lavoro che ti piace e non lavorerai per un solo giorno nella tua vita. E non riceverai un adeguato stipendio per il resto della tua vita. E forse non ce l’avrai nemmeno, una vita. Confucio, hai rotto il cazzo. Ho preparato un pre-test per la figura di Social Media Manager all’interno di un’agenzia pubblicitaria. Ho risplenduto (perché secondo me si dice risplenduto) e mi sono data da fare per rispondere a tutti i quesiti. Roberto mi dice che dovrei mettermi a scrivere progetti, ho la qualifica per farlo e una buona mano, le idee e le nozioni. Manca la voglia, lo stimolo. Mi piace scrivere, ho recuperato una buona mobilità alla mano sinistra e, anche se non totalmente, riesco a seguire le idee nel loro flusso. Ci sto provando, a darmi delle alternative. E il tirocinio no, e il Cedils no, e l’animazione no, e il doposcuola no, sto di nuovo dov’ero l’anno scorso di questi tempi. C’è la rievocazione, che mi porta in giro per il sud Italia a fare la greca o la bizantina, c’è una difficoltà di fondo nel fare cose semplici con un polso che ancora non risponde totalmente ai miei comandi, c’è la voglia di camminare a piedi per sfogare i nervi, provare a stare in forma, ci sono delle giacche (quanto amo le giacche) che non mi entrano più perché sono ingrassata in posti incredibili, c’è tanta ansia, tanto nervosismo che non riesco a scaricare, perché in casa si è elettrici, mi rispondono male e io mi incazzo. Stiamo provando a vendere casa di mio nonno, al quale non sono particolarmente legata per svariati motivi, e questo è motivo di tensione. Succede che l’atteggiamento di mio padre mi dia ai nervi. Quando c’era mio nonno tendeva a scansare la sua compagnia come uno sciatore in uno slalom gigante, perché pieno di pregiudizi, perché non aveva mai una parola buona per nessuno, perché era sempre pronto a farti sentire una merda in ogni momento della giornata. Non riesco a trovare un ricordo piacevole di mio nonno, non ce la faccio. Ha lasciato la mia tesi di laurea, macchiata di vino, sul tavolo del ristorante durante la mia festa. Mi ha fatto pesare che non mangiassi in maniera adeguata, che dovessi mangiare di più o di meno a seconda di come gli giravano, senza che nessuno lo interpellasse. Mi ha accusata di avergli rubato i libri, i miei libri, nella mia libreria, perché lui aveva perso le sue copie (sepolte sotto chissà quali cartoni di quaderni, libri scolastici e pagelle anteguerra). Ha avuto un atteggiamento acido, infimo, di sfida, da quando l’ho conosciuto a quando gli ho detto addio e anche in quel momento non è riuscito a donarmi di riflesso neanche un briciolo di compassione. Mi ha giudicata male, per i ragazzi che frequentavo, per gli amici che avevo, per i capelli che portavo. Sono l’unica discendente del cognome di famiglia, eppure niente mi lega a lui più di un qualsiasi altro anziano scorbutico che pretende il mio posto sull’autobus. E mio padre lo sapeva, perché anche con lui è sempre stato duro, aspro. Ora che non c’è più è diventato BUONANIMA, MIO PADRE ERA SAGGIO, MIO PADRE MI DICEVA QUESTO, pur avendo rifuggito ogni contatto quando era in vita. Per chi mi legge da un po’ è chiaro il motivo per cui mi girano fortissimo le palle, tipo pale del ventilatore: l’incoerenza. La morte non rende le persone migliori di ciò che fossero in vita. Daniele per me è stato un grande amico, ma ha fatto delle stronzate degne di nota che il fatto che non ci sia più non ha cancellato. Per me, nel mosaico che ho costruito idealmente del rapporto con lui, ci sono delle tessere luminose e piene di vita e altre scure, taglienti, che mal si incastrano con tutte le altre, ma senza le quali il quadro non sarebbe completo.

Sono veramente stanca di non poter urlare. Non so quanto ancora potrò resistere prima di esplodere.

Il menabò del funerale

Mi è purtroppo capitato di assistere a più funerali negli ultimi due-tre anni che in tutta la vita. Oggi, in particolare, mi sento di parlare di ciò che una simile esperienza ha suscitato in una mente già problematica di suo.

La trama è sempre la stessa, per quanto varino le età, le esperienze, il vissuto e la causa di dipartita del “protagonista”. C’è un gruppo di persone che consola i parenti prossimi, un gruppo che sta in disparte e quei pochi ma immancabili disturbatori che provvedono a monopolizzare su di sé l’attenzione, talvolta centralizzando l’odio e la rabbia dell’intera chiesa e offrendo quasi il pretesto per esprimere i propri disagi dovuti alla scomparsa della persona cara. Ciò che però più di tutto colpisce la mia attenzione, sono le solite, stesse, banali parole con le quali si descrivono i malcapitati passati a miglior vita (magra consolazione, dopo momenti di sofferenza): era una brava persona, sempre disponibile, buona, caritatevole, ci mancherà. Non importa se si trattasse di un attivista di casa Pound atterrato da un proiettile durante il lancio di una molotov sulla folla inerme o di un medico in missione umanitaria vittima (magari) di uno dei mali che cerca di combattere; rimarrà “una brava persona” nel ricordo dei presenti. Ma più di tutto mi chiedo cosa si crei nella mente di chi officia certi riti. Prendere dell’acqua benedetta e l’incenso quasi a ricreare quel rito pagano del seppellimento dei morti con i propri averi tipico degli antichi egizi, una macumba cristiana atta a spedire il defunto sotto terra e chi s’è visto s’è visto. Della serie: Io ho fatto il possibile per farlo riposare in pace, se poi dovesse andare all’inferno io “me ne lavo le mani” (per usare un’espressione biblica). E la processione per le condoglianze, che quasi sembra che ci si scambi gli auguri, bacino-bacino-Condoglianze Vivissime. Vivissime? Prendi per il culo? Senza contare quella LUNGA serie di persone alle quali non frega un benemerito né del morto né della sua famiglia, ma che si “affacciano a vedere chi sta”. Il feretro esce quindi dalla chiesa e va al cimitero, un luogo altrettanto controverso per quanto mi riguarda. La persona a cui tenevo non c’è più nella mia vita, nella mia quotidianità, ma posso comunque sentirla vicina sotto metri di terreno, lastre di cemento e in stato di decomposizione. Mmmm che poesia. Ho proprio voglia, in una giornata di sole come questa, di farmi una “capa di pianto” pensando che l’assenza di queste persone è ancora più triste perché come me sono tristi altri milioni di persone, ognuna col suo dolore, vero o finto non importa. Alle scuole elementari mi diedero un tema dopo il due novembre: Il culto dei morti nella mia famiglia. Sapete cosa scrissi? “Non posso dire come onoriamo il culto dei morti nella mia famiglia perché al cimitero ci sono stata una volta sola a tre anni e ricordo solo che mia nonna aveva portato una scopa e del detersivo per pulire la lastra di marmo che si trovava sopra la nonna di mia nonna che non ho mai conosciuto.”. E tutt’oggi è lo stesso stato psicologico ad accompagnarmi, nonostante ci siano sotto terra persone con le quali ho condiviso più di una semplice giornata al cimitero. Preferisco ricordare i sorrisi e non fare i conti con la realtà dei fatti, che vede camminare su questa terra persone che non meriterebbero di farlo a scapito di “quei bravi ragazzi” che forse ne avrebbero più diritto.