La danza dell’incoerenza

Sono piena di rancore. È la mia dote, il mio superpotere. Posso provare rancore per giorni, mesi, anni. Deve capitare che mi passi come quando si verifica l’eclissi del secolo, una volta ogni 100 anni, con un evento strabiliante a reti unificate. Una roba da asteroide che colpisce la Terra, come successe con Bender a Montelago. Senza quell’incontro fortuito quanto impossibile, non avrei più parlato con lui. Sarebbe rimasto nel mio Angolo del Rancore, uno spigolo tra il fegato e la milza, dove fa male quando sono nervosa (qualcuno può chiamarlo Ulcera, ma non badiamoci per ora). Se c’è una cosa che devo al mio rancore è la coerenza. Non mi sbaglio finché so che la ferita brucia, e continua a bruciare perché ci aggiungo il sale, l’aceto, l’alcol o qualsiasi altra cosa infiammi ancora di più l’organo già irritato. E più irrita, più sono sicura che non perdonerò, o dimenticherò, o sarò incoerente. Alle volte, prima di tutto questo, ho sorvolato. Scelsi Doctor Drum per sorvolare. La prima volta, quando mi lasciò per fare un esame ginecologico a Paola. La seconda, togliendomi dalle labbra di Enzo per qualche giorno appena. La terza, dopo qualche birra di troppo, liberando il suo letto dal mio corpo prima che sorgesse il sole. Poi mi è scattato qualcosa. Mi sono rotta il cazzo. Ho eliminato il suo numero, ho iniziato a guardare avanti dimenticandomi chi fosse. Qualche anno dopo mi ha scritto che MI LEGGE COME SEMPRE, AVIDAMENTE. Ho sorvolato, ma stavolta sul suo intervento. Alla laurea di Bender, dopo un iniziale stallo, ho deciso di disprezzare, ignorare e andare avanti. Non si è più manifestato. Non mi sono azzardata a commentare sotto foto di Bender dove c’era già il suo commento. Non ho ceduto alle trappole. Finito, sparito dalla mia esistenza. Ogni volta che Bender lo nomina rispondo con QUELLO STRONZO o QUEL PEZZO DI MERDA. È il limone che serve a far bruciare la ferita, anche dopo 14 anni.

Quando, come oggi, mi trovo a vedere interventi riappacificatori basati sull’inadeguatezza personale (non sto bene con me stessa e cerco storie a lieto fine per poter fingere di stare meglio), mi viene il vomito. Non solo per l’ipocrisia, l’incoerenza, la falsità. Per la mancanza di integrità morale. Sento di avere ragione, so di avere ragione eppure… pur di non rimanere ancorata all’idea che gli altri potrebbero farsi di me, scendo a compromessi con la mia etica, metto in discussione ciò che sono per diventare ciò che vogliono che io sia. È una merda. Definitiva. Ho una rabbia cieca che si muove nelle vene e vorrebbe far fuoco e fiamme. Non lo farò. Prenderò il mio bel flaconcino di acetone, me lo verserò sulla ferita, non fresca, ma ancora aperta, e continuerò a guardare da lontano, da sempre più lontano. Perché è il rancore a salvarmi dalle nuove ferite e da chi impugna un coltello invitandoti a fare Guglielmo Tell o Giulio Cesare.

Quindi, per ora, vaffanculo.

Glocale

Oggi Elio Biffi dei Pinguini Tattici Nucleari ha suonato una canzone che gli avevo richiesto: MIA DOLCE RIVOLUZIONARIA dei Modena City Ramblers. Il pezzo parla di sovversività, di reazionismo e mi piace molto, la sua interpretazione poi è stata molto molto carina, ma non è di questo che voglio parlare. Al mio esame di Pedagogia del Ciclo di Vita, quello che mi ha permesso formalmente di potermi tatuare, c’è stata una esagerata botta di culo su un concetto che accomuna la materia ai MCR: GLOCALE. Il concetto si esprime come slogan anche nella canzone e in numerosi scritti di economia, sociologia e pedagogia e si riassume con PENSARE GLOBALE, AGIRE LOCALE. Questo concetto a primo impatto potrebbe sembrare un qualcosa di puramente aziendalistico, pensare in grande per migliorare il prodotto e in effetti calza benissimo; tuttavia, si adatta perfettamente al momento storico che stiamo vivendo. Pensare globale vuol dire non porre limiti alle proprie potenzialità e all’effetto che si può scatenare su grande scala, domande tipo COME POSSO CAMBIARE IL MONDO? ne sono un esempio. In questo momento la domanda del pensiero globale può tradursi in COME POSSO FERMARE IL VIRUS? ed è questa la cosa essenziale. Perché al pensiero globale non frega un cazzo se io e il mio fidanzato non ci vediamo da un mese, se non vado a far visita a mia nonna o se non ho un cane da far pisciare in giro. Il pensiero GLOBALE è un pensiero che comprende anche queste problematiche, ma a un livello più alto, cioè: per poter fare tutto questo il tuo ragazzo, tua nonna e il cane devono essere VIVI. Vi dirò di più, il pensiero globale comprende anche i vivi che vorrebbero far visita ai morti, visto che è stato impedito loro di celebrare una funzione religiosa per salutarli un’ultima volta. Ma io, che sono una stupida stronza, come posso fare tutto questo per un PROBLEMA GLOBALE? Mica ho dei superpoteri o la cura per il virus? Il mio agnosticismo mi impedisce di affidarmi a qualche sorta di divinità e delegare il problema ad alte sfere, quindi arriviamo al secondo concetto: AGIRE LOCALE. Agire locale significa che agisco con piccoli, minuscoli gesti e sacrifici che, porca puttana, visti tutti insieme e da lontano possono essere un piccolo led nel buio di un tunnel del quale non riusciamo ancora a vedere l’uscita. Mi chiudo in casa, non rompo il cazzo al prossimo, cerco il mio equilibrio e contribuisco a risolvere il problema. Per far si che ciò funzioni, però, visto che non tutti siamo così ILLUMINATI da capire che l’unico modo di SCONFIGGERE il problema è EVITARE di incorrerci, c’è bisogno di un organo di controllo, quindi ci sono le sanzioni, i posti di blocco, i controlli e le autocertificazioni.

“Sono andato a correre e per fortuna non mi hanno fermato, ho fatto 12 km!”. E sei un coglione.

“Sono passato a trovare mia zia che non la vedevo da tanto tempo, poi dopo sono andato in farmacia, ma mi sono dimenticato di comprare il ketchup, dopo esco e vado a prenderlo”. E sei un coglione.

“Sono uscito con il figlio della signora di fronte solo per prendere un po’ d’aria”. E sei un coglione.

“Sto a casa, ma nel weekend vado alla casa al mare, tanto se mi fermano posso dire che quello è il mio domicilio”. E SEI DOPPIAMENTE UN COGLIONE.

I criteri di riferimento non sono HO FATTO FESSO IL POLIZIOTTO. Perché il poliziotto magari è pure contento di non fermarti, dato che potresti essere contagioso. Il criterio deve essere EVITO DI ANDARMENE IN GIRO A CAZZO perché non vorrei trovarmi tra qualche mese a dire NON POSSO FAR VISITA A MIA ZIA, A MIA MADRE, AL PRETE, ALLA SORELLA DELLA FIGLIA DELLA CUGINA DI QUARTO GRADO PERCHÈ SONO TUTTI MORTI.

Pensare Globale, Agire Locale. È semplice.

Citazioni che hanno rotto

Fai un lavoro che ti piace e non lavorerai per un solo giorno nella tua vita. E non riceverai un adeguato stipendio per il resto della tua vita. E forse non ce l’avrai nemmeno, una vita. Confucio, hai rotto il cazzo. Ho preparato un pre-test per la figura di Social Media Manager all’interno di un’agenzia pubblicitaria. Ho risplenduto (perché secondo me si dice risplenduto) e mi sono data da fare per rispondere a tutti i quesiti. Roberto mi dice che dovrei mettermi a scrivere progetti, ho la qualifica per farlo e una buona mano, le idee e le nozioni. Manca la voglia, lo stimolo. Mi piace scrivere, ho recuperato una buona mobilità alla mano sinistra e, anche se non totalmente, riesco a seguire le idee nel loro flusso. Ci sto provando, a darmi delle alternative. E il tirocinio no, e il Cedils no, e l’animazione no, e il doposcuola no, sto di nuovo dov’ero l’anno scorso di questi tempi. C’è la rievocazione, che mi porta in giro per il sud Italia a fare la greca o la bizantina, c’è una difficoltà di fondo nel fare cose semplici con un polso che ancora non risponde totalmente ai miei comandi, c’è la voglia di camminare a piedi per sfogare i nervi, provare a stare in forma, ci sono delle giacche (quanto amo le giacche) che non mi entrano più perché sono ingrassata in posti incredibili, c’è tanta ansia, tanto nervosismo che non riesco a scaricare, perché in casa si è elettrici, mi rispondono male e io mi incazzo. Stiamo provando a vendere casa di mio nonno, al quale non sono particolarmente legata per svariati motivi, e questo è motivo di tensione. Succede che l’atteggiamento di mio padre mi dia ai nervi. Quando c’era mio nonno tendeva a scansare la sua compagnia come uno sciatore in uno slalom gigante, perché pieno di pregiudizi, perché non aveva mai una parola buona per nessuno, perché era sempre pronto a farti sentire una merda in ogni momento della giornata. Non riesco a trovare un ricordo piacevole di mio nonno, non ce la faccio. Ha lasciato la mia tesi di laurea, macchiata di vino, sul tavolo del ristorante durante la mia festa. Mi ha fatto pesare che non mangiassi in maniera adeguata, che dovessi mangiare di più o di meno a seconda di come gli giravano, senza che nessuno lo interpellasse. Mi ha accusata di avergli rubato i libri, i miei libri, nella mia libreria, perché lui aveva perso le sue copie (sepolte sotto chissà quali cartoni di quaderni, libri scolastici e pagelle anteguerra). Ha avuto un atteggiamento acido, infimo, di sfida, da quando l’ho conosciuto a quando gli ho detto addio e anche in quel momento non è riuscito a donarmi di riflesso neanche un briciolo di compassione. Mi ha giudicata male, per i ragazzi che frequentavo, per gli amici che avevo, per i capelli che portavo. Sono l’unica discendente del cognome di famiglia, eppure niente mi lega a lui più di un qualsiasi altro anziano scorbutico che pretende il mio posto sull’autobus. E mio padre lo sapeva, perché anche con lui è sempre stato duro, aspro. Ora che non c’è più è diventato BUONANIMA, MIO PADRE ERA SAGGIO, MIO PADRE MI DICEVA QUESTO, pur avendo rifuggito ogni contatto quando era in vita. Per chi mi legge da un po’ è chiaro il motivo per cui mi girano fortissimo le palle, tipo pale del ventilatore: l’incoerenza. La morte non rende le persone migliori di ciò che fossero in vita. Daniele per me è stato un grande amico, ma ha fatto delle stronzate degne di nota che il fatto che non ci sia più non ha cancellato. Per me, nel mosaico che ho costruito idealmente del rapporto con lui, ci sono delle tessere luminose e piene di vita e altre scure, taglienti, che mal si incastrano con tutte le altre, ma senza le quali il quadro non sarebbe completo.

Sono veramente stanca di non poter urlare. Non so quanto ancora potrò resistere prima di esplodere.