The look of love

Si potrebbe pensare che le avventure più coinvolgenti a livello sessuale avvengano attraverso un gioco di seduzione, fatto di pizzi e vedononvedo. Nella mia esperienza posso dire con certezza che non è così.

Uscivo con un ragazzo, avevo da poco compiuto 19 anni ed ero rapita dal suo modo di fare. Aveva fascino, un buon profumo e mille spunti di conversazione. Ci frequentammo per un po’, finché una sera non lo invitai da me. Avevo un completino che non lasciava niente all’immaginazione e un vestito svolazzante sotto il quale erano facilmente intuibili le mie intenzioni. Quella sera mi tenni il vestito e le intenzioni. Ci baciammo tanto, a perdifiato, ma senza andare oltre. Nè quella volta, nè mai.

Molti anni dopo, con un altro tipo, avevo passato giorni intensi di conversazioni whatsapp esplicite. L’idea comune, tuttavia, era di passare un weekend in giro, insieme, e poi magari riservarci il dolce per il dopo cena. In questo modo avrei avuto il tempo di truccarmi e prepararmi come si deve, affinché tutta la situazione fosse eccitante. Lo raggiunsi la mattina in albergo in jeans e t-shirt dei fumetti, gialla che più giallo non si può, pronta per un’escursione. I nostri occhi si comunicarono che il tempo era scaduto e che aspettare il dopo cena sarebbe stato una tortura. Mi attirò a sè e la maglietta giallo limone volò sulla sedia mostrando il reggiseno ginnico bianco orribile. Sparì anche quello in un batter d’occhio. Inutile dire che, da quella volta, ogni volta che indosso quella maglia, un brivido mi percorre la schiena al ricordo di quel fermento.

È il desiderio che spinge l’alchimia. Tutto il resto è solo pubblicità ingannevole.

Sento il vento

Il silenzio. Quasi irreale, spinto a fatica nel mezzogiorno assolato di fine agosto. Sento il vento, una forchetta che cade da un tavolo in un appartamento vicino. Riesco a percepire il suono del tabacco che brucia tra le dita. Mentre aspiro guardo le cicatrici sul braccio sinistro. È qualche anno che sono li. È qualche anno che hanno smesso di sanguinare. Un’auto in lontananza accompagna a casa i bambini di ritorno dal mare. Il paese ormai vuoto segna il passo tra le vecchie memorie e i nuovi ricordi da portare alla luce tra qualche tempo. Respiro. Non è una brutta vita. Non deve esserlo per forza. Mi presto a questo lento e fumoso suicidio dell’anima per evitare nuovi solchi, nuove cicatrici. Qualcuno sta cucinando qualcosa di appetitoso, l’odore mi investe facendomi pensare ai mille pranzi e cene e nottate che ho perso per questo inutile senso di colpa. Non sono abbastanza, non sono mai stata abbastanza. Una nuvola passa e oscura il sole. Mi sento quella nuvola? Mi sento il sole? No, non mi sento. Non mi ascolto. Non piú. Non da quando ascoltarmi ha cominciato a farmi male.

Sento il vento. Mi resta la consapevolezza di aver ricominciato a sentire. E per ora basta cosí.

Mi sento aria

Devi comprimerti, essere alla mercè delle sollecitazioni, sotto vuoto, in apnea, ricevere le botte più tremende, le umiliazioni più profonde, le sofferenze più atroci, farti stringere il collo e infiammare la pelle, spingerti al limite dell’incoscienza, farti spingere alla più totale disperazione, essere costretta a dimenticarti chi sei, cosa sei. Con la faccia sporca, il trucco sciolto, gli occhi vuoti, il corpo finito, riaprirai gli occhi e nel buio della profondità di te stessa ritroverai la vita. Inerte, sul pavimento, le lacrime sul viso e le mani tremanti, sarai aria.

Come eri. Come sarai ancora. Leggera.