Fingers

Io e Lui facevamo l’amore con le dita. Non nel senso di toccarci reciprocamente le parti intime, ma solo toccandoci, tenendoci per mano. Una volta eravamo seduti ad un tavolo a casa di amici. Era sera tardi, erano tutti a letto ed eravamo rimasti solo noi in piedi, aspettando che il sonno ci venisse a far visita. Mi prese la mano e mi baciò le dita, una per una. Le sue labbra sui polpastrelli mi facevano rabbrividire, desideravo la sua bocca su tutto il corpo. Iniziai a baciare le sue, una per una, piano, senza essere precipitosa. Il desiderio cresceva a ogni schiocco di labbra, sempre più intensamente. Senza rendercene conto le nostre mani iniziarono a incrociarsi e le lingue a danzare insieme. Il calore della sua bocca mi inebriava, volevo che mi prendesse lì, senza esitare. Così successe. Ci spogliammo in quella cucina, con i piatti ancora sul tavolo dopo la cena e fece scorrere le sue mani sul mio corpo, sulla schiena, lasciando che le dita solcassero ogni piega, ogni onda. Carponi sul pavimento lo sentii invadermi, stringermi i fianchi e farmi sua, nel silenzio della casa. Ci rivestimmo frettolosamente, ma continuò a baciarmi fino a che non raggiungemmo il letto e ci addormentammo. Non so dire perché ci prese così intensamente e non pensammo alla stanza da letto prima dell’amplesso, so solo che per capire il suo desiderio mi bastava uno sguardo, un gesto, un tocco delle dita.

Stanotte l’ho sognato. Era così reale… ho sentito il suo respiro sulla schiena, le labbra sulle dita. Ho ripensato a quella cucina, ai nostri amici che non hanno mai sospettato nulla di quella serata. I brividi continuano a corrermi lungo il corpo. I sogni finiscono e il mattino è crudele. Non so dove sia ora, ma stringersi le dita, ancora una volta, ci riporterebbe esattamente lì. Con le dita tra le dita e le mani strette.

The look of love

Si potrebbe pensare che le avventure più coinvolgenti a livello sessuale avvengano attraverso un gioco di seduzione, fatto di pizzi e vedononvedo. Nella mia esperienza posso dire con certezza che non è così.

Uscivo con un ragazzo, avevo da poco compiuto 19 anni ed ero rapita dal suo modo di fare. Aveva fascino, un buon profumo e mille spunti di conversazione. Ci frequentammo per un po’, finché una sera non lo invitai da me. Avevo un completino che non lasciava niente all’immaginazione e un vestito svolazzante sotto il quale erano facilmente intuibili le mie intenzioni. Quella sera mi tenni il vestito e le intenzioni. Ci baciammo tanto, a perdifiato, ma senza andare oltre. Nè quella volta, nè mai.

Molti anni dopo, con un altro tipo, avevo passato giorni intensi di conversazioni whatsapp esplicite. L’idea comune, tuttavia, era di passare un weekend in giro, insieme, e poi magari riservarci il dolce per il dopo cena. In questo modo avrei avuto il tempo di truccarmi e prepararmi come si deve, affinché tutta la situazione fosse eccitante. Lo raggiunsi la mattina in albergo in jeans e t-shirt dei fumetti, gialla che più giallo non si può, pronta per un’escursione. I nostri occhi si comunicarono che il tempo era scaduto e che aspettare il dopo cena sarebbe stato una tortura. Mi attirò a sè e la maglietta giallo limone volò sulla sedia mostrando il reggiseno ginnico bianco orribile. Sparì anche quello in un batter d’occhio. Inutile dire che, da quella volta, ogni volta che indosso quella maglia, un brivido mi percorre la schiena al ricordo di quel fermento.

È il desiderio che spinge l’alchimia. Tutto il resto è solo pubblicità ingannevole.

Tu credi nel destino?

Ho bisogno di fumare. Hai una sigaretta? No, non fumi. Aspettami ancora, ancora un po’. Dove sei? Le lancette vanno veloce, qual è il tuo problema? Arriverai tardi, potrebbe succedere. Non a te. Tu non arrivi tardi. Mi ripeti di dover andare via, io non ti trattengo, ma non te ne vai. Mi dici che non capisci perché sei qui adesso, ti chiedo di aspettarmi ancora, il mondo è troppo luminoso. Imbocchi una strada buia e sparisci nell’ombra. Proseguo in quel buio, voglio ascoltarti. La cenere si consuma tra le mie dita. Ti ho cercata in una notte e ti ho ritrovata qui, al buio di un lampione, persa nei tuoi pensieri. Mi dici mille cose del perché sia tutto sbagliato, devi andare via, potresti non tornare e forse non lo farai. Guardo le tue labbra muoversi e cerco di immaginare che sapore abbiano, cosa nascondano. Ti attiro a me, ti stringo, so che senti il mio respiro sulle tue spalle e ne percepisco il piacere, ma ti divincoli e mi ripeti che non puoi, che non vuoi, che non si può. E non ti credo, perché l’ho sentita quella scintilla, quel brivido lungo la schiena non l’ho sognato. Eri li anche tu, ma continui a negarti di averlo percepito. E dovremmo stare qui a desiderarci ancora l’un l’altra, ad immaginare di indagare sotto quei vestiti per scoprire pelle e carne e sudore e istinto. “Ah beh, e quindi studi?”. “Si” ti affretti a rispondere “Sono all’ultimo anno dell’Accademia di Belle Arti. Dipingo.”. Sei un’artista. Vorrei che mi mettessi in uno dei tuoi quadri, puoi farlo? No, non puoi perché dipingi solo cose tristi e che fanno male. Per questo non vuoi dipingermi, perché sai che non ti farei male.

“Non posso, devo andare.”.

Una Cenerentola senza la scarpetta mi lascia lì, solo, sognando il suo sapore e un’altra occasione per rivederla.