Sentiti libero, granchio

Ti guardavo sotto il sole, su uno scoglio, tra le onde infrangenti, sui gusci catarifrangenti. Il secchiello ti ha catturato, un bambino, ci hai giocato, si è annoiato, ti ha abbandonato. Così, con un calcio l’ho fatto cadere (il secchiello, non il bambino) per farti rivedere il mare e l’orizzonte, cacchio! Sentiti libero, granchio!

Ispirato e sospirato da Metodo di sofferenza creativa di Filippo Dr. Panìco

A-Mare

Mi piace solcare le onde
che si formano
tra le tue spalle e la schiena,
navigare ed esplorare
ogni parte, ogni centimetro
a vele spiegate
senza spiegare
perché ogni volta
perdo la rotta,
è rotta la bussola
che mi indica il verso
sul tuo corpo riverso,
estatico, primordiale,
animale, disteso,
sopito, reattivo al contatto
di un dito, tra brividi
e sospiri e parole
a mezza voce, che non servono,
che sibilando accentuano
il vento che spinge la mia nave
tra le maree del tuo profilo
tondo, armonioso, cullato
leggero da un pensiero
di azzurro,
di cielo, di mare, di te.

Come se

Come se, facendo più piano, si tenesse sopita la belva.
Come se, andando più lento, non riuscissi ugualmente a schiantarti.
Come se pensassi ad una vittoria come ad una valida alternativa alla quasi inevitabile sconfitta.
Come se ogni cosa in disordine acquisisse improvvisamente ordine nel suo caos.
Come se pensassi ad una cosa bella che è successa e la stessa cosa bella fosse stata una fregatura.
Come se stessi senza me stessa.