Ricariche emozionali

Voglio combattere la tendenza a scrivere solo quando le cose vanno male. Fino allo scorso weekend mi sarei buttata sotto un treno, se non fosse che il primo treno utile parte da Putignano perché qui hanno chiuso la stazione per lavori. Poi, nel giro di tre giorni, è migliorato tutto. Mio nonno si è operato e sta bene, ho ricominciato a impegnare le mie giornate tenendo in ordine la casa, uscendo, prendendomi tempo per me e dedicandomi a qualcosa che mi piace (come l’organizzazione degli eventi) e mi sono rimessa in carreggiata. C’è voluto tempo, c’è voluto perdere totalmente tutte le energie, positive e negative, accumulate fino a quel momento e ricominciare a fluire, lentamente, con le nuove prospettive. Così un weekend saltato per mancanza di energie si è trasformato in un pranzo tra amici, con all’orizzonte la realizzazione di un altro dei desideri di me tredicenne. Io e le mie superstizioni ne abbiamo passate tante, ma con lo Zar non si è avverata nessuna di quelle finora incontrate, quindi vaffanculo, lo dico: per il mio trentesimo compleanno andrò a Parigi. Eve c’è stata nel 2014, io ci andrò a sei anni esatti da quel viaggio immaginario. Sono un’esplosione di gioia, positività, ho paurissima di perdere l’aereo, di non partire per un’esplosione termonucleare, non lo so, ma ho una voglia fottuta di mettermi in viaggio e andare. Cascasse il mondo sarò lì. A visitare Versailles, a fare la foto con Cenerentola a Disneyland e a dare un bacio allo Zar sotto la torre Eiffel, magari con la neve che fiocca. Amo l’inverno, amo l’idea di stringermi a lui sotto una pioggia di luci e sono un’inguaribile romantica. Eccola, è venuta fuori. Sono anni che combatto con la penna a colpi di cinismo, sesso e violenza, poi capita un’occasione per spendere dei soldi messi da parte in un anno e mezzo e PUF! le principesse, la città più romantica del mondo, il palazzo reale del Re Sole e vaffanculo alle armature e alle corazze. Questa è senz’altro una bella ricarica, ma non è la sola. Ormai ieri, 31 ottobre, ho fatto una festa per bambini al laboratorio urbano. Un successo. Ho diretto i lavori e con i miei collaboratori abbiamo funzionato come una macchina perfetta. Una miserrima soddisfazione in questa grigia vita professionale. Una mail, in più, mi ha annunciato di essere tra i candidati per un ruolo di Autore nella Slim Dogs e le mie sinapsi si stanno illuminando di luce propria. È un periodo pieno di sorprese, come direbbe il caro Samuele Bersani, e io ci sto dentro.

Don’t stop believing.

Non servono le ali per capire il cielo

Lo lascia andare via così, di sfuggita imboccando la porta in fretta mentre cerca di non arrivare tardi in ufficio, ma di non lasciarmi sola. Lo sussurra quasi, sorride, intanto piango per la mia inadeguatezza e la sofferenza dei miei dolori fisici, buttandola lì come se fosse la cosa più normale del mondo… tipo “Ehi, c’è del latte in frigo, se vuoi fare colazione”, invece non ha niente a che fare né con il frigo né con il latte. È scorretto, perché non può far finta che sia normale, che vada bene per ogni situazione, specie ora che combatto con le mie viscere. Sono ore, giorni, mesi che ci vediamo, stringiamo, scambiamo le vite, le parole, i respiri. Come faccio ad esserne felice ora? Come dovrei riuscire a sorridere mentre un pugnale mi trafigge lo stomaco ed indaga senza remore i percorsi tortuosi di quei successivi 7 metri? Come dovrei riuscire a dirgli, anche solo guardandolo, che non servono le parole giuste per la completezza, ma il fatto che le abbia lasciate fluire, senza pensarci, mi rasserena?

Me e le paranoie. Capitolo ennesimo.

Volevo essere come quei popcorn che non scoppiano quando stanno sul fuoco, ma io avevo sottovalutato la pericolosità di un petardo inesploso

Mi è esploso il cuore. Ero in macchina, andavo da lui, ascoltavo una playlist di brani vari ed è partita una canzone scema. Una di quelle che metti nella playlist così, da sentire a cuor leggero. Per la prima volta ho seguito tutte le parole. Le lacrime hanno iniziato a rigarmi gli zigomi e senza sapere come ho iniziato a singhiozzare senza riuscire a fermarmi. 

Dicembre, le luci, il Natale, i regali da fare, la neve 
La gente che si vuole bene ma noi due avevamo ben altro da fare
E quello facemmo per tre quattro volte ogni giorno, da far concorrenza ai migliori film porno 
Chiudemmo la porta e buttammo la chiave
E a gennaio che feci lo sbaglio di dirle, “Ti amo” all’orecchio 
Dicendolo piano e tenendole con infinita dolcezza la mano
Lei, sorpresa, stupita, stordita, rispose “Io no, fattene una ragione” 
Poi con gli occhi lucidi aggiunse, “È uno scherzo, ti amo coglione”
Poi febbraio, il suo cuore di ghiaccio in tempismo perfetto per stringerci ancora 
Più forte nel letto

L’odore dei fiori di marzo, con i suoi giardini
Ci trovò vicini con gli occhi sognanti a parlar di una casa, un giardino e i bambini
Fortuna che poi venne aprile e quel tiepido sole a ridare vigore a quel solo neurone
Assopito, stordito, ubriaco d’amore

Non imparo mai.